La tela e il sangue:

l’ambigua bellezza della mente criminale

Francesco Galvano

Anna Maria Giulia Vernacchia

Maria Elena Caporale

Silvia Malafarina

a drawing of a woman with her head in her hands
a drawing of a woman with her head in her hands

Arte e omicidio: un altro paradosso dell'animo umano in cui una fonte creativa, una forza vitale, può perdere la sua strada e diventare autodistruttiva. Così come l'arte è uno strumento per esprimere l'io interiore, essa ci parla anche del dolore, della morte e dell'orrore. Il simbolo, il colore e la forma sono i mezzi attraverso i quali l'artista incarna il suo conflitto interiore, allo stesso modo in cui un serial killer può manifestare il suo modo di vedere il mondo attraverso le prove lasciate e la sua stessa vita. Molti hanno proposto la teoria, da Lombroso (1876) a Simonton (2014), che l'anima di un artista (forti emozioni, impulsi e pensiero divergente) può esprimersi sia come opera d'arte che come criminale. In entrambi i casi, l'affermazione di sé è simboleggiata proprio da ciò che fornisce la definizione completa della propria identità, la "firma".

Serial Killer e creatività: una somiglianza strutturale

La ricerca nelle scienze criminali ha stabilito che alcuni sociopatici, come i serial killer particolarmente narcisisti e psicopatici (Hare, 1999; Lykken, 1995), costruiscono fantasie dettagliate e profonde attraverso le quali ricercano i loro omicidi in modo rituale. Questa dinamica che difficilmente può essere definita umana dà origine a idee creative: un progetto viene creato, applicato, meditato e, in alcune circostanze, realizzato nuovamente. Holmes & Holmes (1998) hanno mappato le varie fasi del crimine e allo stesso tempo hanno trovato parallelismi tra il lavoro di un artista e le scene di un crimine di un assassino seriale. In alcuni casi, come in quello di John Wayne Gacy, Richard Dadd o Nicholas Caux, l'attività artistica, anche all'interno del carcere, è parallela all'interpretazione sacrificale delle vittime, in quanto costituisce un modo culturale di tradurre la loro aggressività ancora non sepolta.

L'arte come specchio della devianza

L'uso dell'arte come canale privilegiato per l'elaborazione e il modellamento di esperienze traumatiche come quelle di violenza, disabilità e malattia mentale risale storicamente all'arte. Essa rappresenta una pratica sociale che simboleggia i legami di sopravvivenza e le connessioni emotive che si stabiliscono. Frida Kahlo, ad esempio, ha trasformato il suo dolore fisico e psichico in un linguaggio pittorico unico, affrontando temi come l'aborto, la disabilità e la sofferenza esistenziale (Il cervo ferito, 1946). Francis Bacon, con le sue distorsioni della forma umana e della carne lacerata, ha esposto l'agonia del corpo e della mente nella società del dopoguerra. Edvard Munch, ad esempio, ha rappresentato il panico e la disintegrazione interiore con il simbolo universale dell'Urlo (1893). La schizofrenia è stata anche il tema principale e la forza trainante di molti artisti, basti pensare a Louis Wain, che dipingeva gatti psichedelici, e a Yayoi Kusama, che creava arte a partire dalle allucinazioni.

Ciononostante, l'arte non è solo un modo per esprimere un trauma, ma anche un metodo di comunicazione alternativo e, in alcuni casi, uno strumento di autorità. In criminologia, diverse figure criminali hanno sfruttato l'arte come mezzo per comunicare e definire la propria identità. John Wayne Gacy, serial killer statunitense, dipingeva clown in carcere, spesso autoritratti, venduti poi all’asta come oggetti da collezione. Anche Charles Bronson ha fornito un quadro dettagliato della sua vita carceraria attraverso i libri che ha scritto e illustrato, sostenendo che l'arte era per lui un modo per riacquistare il rispetto di sé e diventare una persona migliore. In questi casi, l'arte può sostituire il linguaggio istituzionale ed essere un "codice alternativo" attraverso il quale il soggetto rinuncia al proprio potere di autoespressione, crea empatia o influenza in qualche modo l'opinione pubblica.

Arte e crimine costituiscono insieme l'aspetto più recente della ricerca criminologica. Diverse forme d'arte interconnettono le sfere della bellezza e dell'orrore, nonché dell'artistico e dell'anormale, rendendo così l'arte uno strumento ideale per comprendere non solo l'individuo ma anche i codici simbolici e culturali che circoscrivono la violenza. David Freedberg, ad esempio, afferma che le immagini hanno sempre proprietà intrinseche: cambiano la fisiologia e la psicologia ("The Power of Images", 1989). Il risultato del trauma o dell'anticonformismo dell'artista rende quindi la criminologia un contesto appropriato per le discussioni sull'interrelazione tra trauma, identità e potere (ad esempio, Cohen, 2010; Ferrell, 2006).

Conclusione: la creatività tra sublimazione e trasgressione

La creatività ha una natura duale: da un lato può essere un atto quasi divino, una forma di imitazione del potere creativo, dall’altro può contenere elementi oscuri e distruttivi. Alcuni artisti, infatti, raggiungono i limiti dell’esperienza umana — come l’estasi o la sofferenza estrema — proprio per creare. È anche per questo che l’arte continua a essere vista, ancora oggi, come un rifugio per chi si trova ai margini o affronta profondi conflitti interiori. L’ambiente personale, sociale e culturale influenza sia l’artista che il criminale. Secondo Ellen Dissanayake (1992), questa influenza è alla base dell'immaginazione artistica, che è sempre una risposta alla società. Lo stesso tratto umano – la capacità immaginativa – può manifestarsi in modo costruttivo o distruttivo, a seconda del contesto. Per comprendere queste dinamiche, è utile un approccio multidisciplinare che unisca psicologia, antropologia e criminologia. Questo permette di indagare le connessioni profonde tra espressione artistica e devianza, aiutando a distinguere tra chi crea per rappresentare la natura e chi invece agisce per dominarla o violarla.

Riferimenti

  • Alison, L., Bennell, C., Mokros, A., & Ormerod, D. (2003). The personality paradox in offender profiling. Psychology, Public Policy, and Law, 9(1), 115–135.

  • Bronson, C. (2000). Solitary Fitness. Mirage Publishing.

  • Centini, M. (2018). Artisti criminali, criminali artisti. L'Airone.

  • Cohen, A. S. (2010). Art and the Representation of Violence. Routledge.

  • Cropley, D. H., Kaufman, J. C., & Cropley, A. J. (2008). Malevolent creativity. Journal of Creativity Research, 20(2), 105–115.

  • Dissanayake, E. (1992). Homo Aestheticus. University of Washington Press.

  • Dobelbower, R. R. (2006). L’influenza lombrosiana nell’analisi dell’arte e del crimine. Art Crime Journal.

  • Ekman, P. (2003). Emotions Revealed. Times Books.

  • Ferrell, J. (2006). Empire of Scrounge: Inside the Urban Underground of Dumpster Diving, Trash Picking, and Street Scavenging. NYU Press.

  • Freedberg, D. (1989). The Power of Images: Studies in the History and Theory of Response. University of Chicago Press.

  • Hazelwood, R. R., & Douglas, J. E. (1980). The Lust Murderer. FBI Law Enforcement Bulletin.

  • Holmes, R. M., & Holmes, S. T. (1998). Contemporary Perspectives on Serial Murder. SAGE.

  • Kandel, E. (2012). The Age of Insight. Random House.

  • Kellman, S. G. (2000). The Translingual Imagination. University of Nebraska Press.

  • Lombroso, C. (2011). L’uomo delinquente. Il Mulino.

  • Maclagan, D. (2009). Outsider Art: From the Margins to the Marketplace. Reaktion Books.

  • Prinzhorn, H. (1972). Artistry of the Mentally Ill. Springer-Verlag. (Orig. ed. 1922)

  • Rhodes, C. (2012). Outsider Art: Spontaneous Alternatives. Thames & Hudson.

  • Simonton, D. K. (2014). Mad Genius Revisited. Perspectives on Psychological Science, 9(5), 470–480.

  • Zeki, S. (1999). Art and the brain. Journal of Consciousness Studies, 6(6–7), 76–96.