Le emozioni sono universali?

Perché la teoria di Ekman è ancora attuale

Francesco Galvano

selective focus photography of buddha bust decor
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Questo è il cuore di un importante dibattito scientifico. Da una parte abbiamo Paul Ekman, pioniere nello studio delle emozioni, che sostiene che alcune emozioni — come gioia, tristezza, rabbia, paura, sorpresa e disgusto — siano universali. Ovunque tu vada, le persone riconoscono queste emozioni attraverso le espressioni facciali. Dall'altra parte troviamo la psicologa Lisa Feldman Barrett, che propone un'idea molto diversa. Secondo lei, le emozioni non sono cablate nel nostro cervello. Invece, "costruiamo" le emozioni sulla base delle esperienze passate, della cultura in cui cresciamo e dei significati che impariamo ad associare alle sensazioni corporee. La teoria della Barrett è affascinante, ma analizzando più a fondo le ricerche, l'idea di Ekman sulle emozioni universali si dimostra ancora molto solida.

Cosa dice la scienza

Gli studi di Ekman, incluso il suo famoso lavoro con comunità isolate come il popolo Fore della Papua Nuova Guinea, hanno dimostrato che le persone sono in grado di riconoscere facilmente le espressioni facciali legate alle emozioni di base, anche senza l'influenza dei media moderni. Questi risultati sono stati confermati ripetutamente da altri ricercatori nel mondo.

Uno degli argomenti più forti a favore dell'universalità arriva dagli studi sulle persone cieche dalla nascita. Non hanno mai visto un sorriso o un'espressione accigliata, eppure mostrano le stesse espressioni emotive delle persone vedenti. Ricerche di David Matsumoto e altri hanno dimostrato che atleti ciechi, dopo una vittoria o una sconfitta, esprimono emozioni come l'orgoglio o la delusione nello stesso modo dei loro colleghi vedenti.

Anche gli studi sul cervello supportano l'idea che le emozioni abbiano radici biologiche. Emozioni diverse attivano aree diverse del cervello: ad esempio, la paura attiva l'amigdala, mentre il disgusto coinvolge l'insula.

Guardando anche ai nostri "cugini" evolutivi, come gli scimpanzé, vediamo che le espressioni emotive non sono invenzioni culturali, ma strumenti fondamentali di comunicazione e sopravvivenza.

Il ruolo della cultura

Ovviamente, la cultura ha comunque un ruolo importante. Può influenzare il modo in cui esprimiamo apertamente le emozioni, regolando ad esempio l'intensità con cui le manifestiamo o stabilendo quali emozioni è socialmente accettabile mostrare in pubblico. Inoltre, la cultura può modellare le interpretazioni che diamo alle emozioni degli altri e i contesti in cui certi sentimenti sono più o meno appropriati. Tuttavia, queste modulazioni culturali si basano su una piattaforma emotiva innata e universale. La cultura non crea le emozioni da zero: piuttosto, agisce come un filtro o un amplificatore, adattando la manifestazione di emozioni biologicamente radicate alle norme sociali specifiche di ogni comunità.

Conclusione

Sebbene le idee della Barrett ci aiutino ad apprezzare come le emozioni possano variare e adattarsi tra diverse società, la verità fondamentale rimane: le emozioni sono profondamente radicate nella nostra biologia. Nonostante le differenze culturali, esse rappresentano un linguaggio universale, antico quanto l'umanità stessa, che consente la comprensione reciproca anche tra individui di culture lontane e tempi diversi. Le emozioni costituiscono una sorta di ponte invisibile che ci collega gli uni agli altri, favorendo empatia, cooperazione e solidarietà. Comprendere questo principio non è soltanto una curiosità scientifica: è una chiave pratica per vivere meglio. Significa imparare a riconoscere e rispettare le emozioni proprie e altrui, superando barriere linguistiche e culturali. Significa diventare comunicatori più efficaci, leader capaci di ispirare e guidare attraverso l'empatia, cittadini globali più consapevoli e responsabili. Le emozioni, in quanto patrimonio comune dell'umanità, ci offrono una straordinaria opportunità di costruire relazioni autentiche e di affrontare insieme le sfide del nostro mondo sempre più interconnesso.

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